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senso di colpa

Il Senso di Colpa: il grande alleato

Il senso di colpa, tipico della religione ebraica, alveo iniziale del cristianesimo, è passato, da generazione a generazione, fino a noi, grazie alla religione cattolica. La Bibbia, infatti, descrive come il peccato originale (ed il conseguente senso di colpa) provengano da Adamo ed Eva e come, in seguito al loro comportamento, l’uomo abbia perduto il Paradiso.
Se proviamo a ragionare come un bambino, ci potremmo chiedere: se l’uomo deriva dagli originari primati, che già 55 milioni di anni fa popolavano il nostro pianeta, che c’entrano Adamo ed Eva? Infatti, da un punto di vista storico non c’entrano nulla e la Chiesa ha impiegato qualche secolo ad accettare le teorie evoluzionistiche sull’origine della specie umana (tra una condanna al rogo e l’altra), pur continuando ad utilizzare la trappola del senso di colpa.
Allora, il senso di colpa da dove nasce e a che serve?
La radice del senso di colpa è la presenza di una immagine idealizzata di noi stessi, costruita nelle primissime relazioni di vita, a cui non riusciamo (e non riusciremo mai) ad aderire, perché quest’immagine non tiene conto dei nostri limiti, che ci rendono reali esseri umani. Pertanto, la sua presenza dentro di noi ci impedisce costantemente di crescere, perché non ci consente di toccare i limiti e di poterli superare.
Ad esempio, uno dei sensi di colpa più diffusi è legato all’idea di poter ferire una persona amata, a cui siamo profondamente legati. In qualsiasi relazione dove c’è spazio per l’intimità ci si ferisce di frequente, perché i propri limiti ci portano ad essere spesso distratti e, quindi, non “impeccabili” nei confronti dell’altro (come pure nei confronti di Dio). Se continuiamo, però, a mantenere integra l’immagine di noi stessi che non ferisce mai l’altro, ogni volta che, invece, ciò accade, e cioè lo feriamo, dovremo distogliere l’attenzione: minimizzando l’accaduto, negando l’evidenza dei fatti, o giustificandoci con le scuse più varie, perché ci fa troppo male (incrinare l’immagine di “buoni” è troppo doloroso).
Oppure, se proprio non riusciamo a mascherare l’accaduto, dovremo ammettere, solo per un attimo, di aver sbagliato, cercando di richiudere l’attenzione subito dopo, magari scusandoci e promettendo di non ricaderci più: l’immagine, in tal modo, appare appena intaccata e può facilmente essere ricostruita. Anzi, possiamo pensare di essere ancora più “buoni”, perché riusciamo anche a riconoscere i nostri errori ed a scusarci con l’altro.
Infatti, l’ultima fase dell’intera sequenza è la riparazione dell’immagine: dobbiamo fare qualcosa (ai nostri occhi ed a quelli degli altri) per dimostrare che siamo realmente come quell’immagine ci impone di essere. Questo vuol dire che faremo qualcosa per dimostrare che siamo realmente “buoni”.
In realtà, anche se ci arrabbiamo tantissimo, quando qualcuno la mette in discussione, siamo noi stessi i primi a non credere in quell’immagine, ma non sapendo come venir fuori da questa trappola, troppo sofisticata per cavarcela da soli, riduciamo questa consapevolezza ad un lumicino e la releghiamo in cantina.
L’utilità del senso di colpa è evidente: si crea un legame di dipendenza, dal quale l’altro non riesce più ad uscire. Si può, infatti, contagiare inconsapevolmente, un altra persona con il virus dell’attaccamento all’immagine, illudendola che se aderirà a quell’immagine, non sarà più sola e si sentirà sempre protetta. A quel punto, il programma inconsapevole del “nuovo schiavo” sarà quello di esplorare il mondo, e la propria interiorità, senza mai infrangere l’immagine: ogni volta che proverà a varcare la soglia della sua gabbia, il senso di colpa lo riporterà indietro.

senso di colpaultima modifica: 2009-07-21T20:02:00+02:00da
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