Ho scritto un commento sul blog Non*Mi*A(lauratani), un universo che vi consiglio di visitare perché fa riflettere, divertire, crescere. Il tema è il Palio di Siena. Così, prima di partire per le vacanze, lascio un argomento “forte”, su cui gli animalisti più estremisti si tuffano ogni anno e che a livello nazionale è molto dibattuto. Ricordo solo che del Palio si sono innamorati uomini di cultura, politici anche moderni (Veltroni, per esempio), poeti da Dante a Montale. I commenti, se civili e non offensivi verso l’una o l’altra parte, sono graditi.
Il Palio non è una manifestazione riesumata ed organizzata a scopo turistico: è la vita del popolo senese nel tempo e nei diversi suoi aspetti e sentimenti. Se resiste dal 1644 una ragione ci sarà, no? Giudicarlo solo per quanto avviene in corsa significa togliergli tutta la sua magia. Nessuno nega che per i cavalli sia un forte stress, che le frustate (a Siena si chiamano nerbate) non facciano certo bene alla pelle, ma allora bisognerebbe chiudere anche gli ippodromi. Tante volte i fantini vittoriosi hanno raccontato: “Ho cercato di nerbare il cavallo il meno possibile, non se lo meritava. Solo in fondo gli ho dato un colpetto, per chiedergli un ultimo sforzo sulla via del trionfo”. Ma è accaduto anche che la mia Contrada abbia perso un Palio condotto in testa per 2 giri e mezzo perché il fantino non ha mai nerbato il cavallo, neanche quando veniva superato a pochi metri dal traguardo: “Era inutile, era troppo stanco, non ce l’avrebbe fatta lo stesso. Perché infliggergli un’ulteriore umiliazione?”. Lo spirito è questo, fermo restando che, come in tutte le cose, per arrivare alla vittoria si fa tutto: si corrompe il prossimo, si nerbano i cavalli e i fantini avversari, si esagera.
Il Palio, però, non è uno spettacolo in cui l’uomo e l’animale sono opposti, alla ricerca della morte dell’altro, come accade nella corrida. E’ una Festa in cui le due componenti sono fortemente fuse, lottano e volano insieme per un unico traguardo. E il cavallo è quanto di più amato si possa trovare: viene assegnato 3 giorni prima della corsa, viene coccolato, accudito, vegliato, avvicinarsi alla stalla è praticamente proibito perché ci sono contradaioli che fanno la guardia affinché il suo sonno non sia disturbato. La stessa dedizione, per esempio, non sempre è proiettata sul fantino. I bambini lo accarezzano, gli portano caramelle e carote, il popolo lo adora e non lo incolperà mai della sconfitta. Il cavallo a Siena è una divinità, e come tale viene trattato prima, durante e dopo la corsa.
Racconto due aneddoti, uno più breve e uno un po’ più articolato, per spiegare il forte legame di adorazione che lega i destrieri al popolo senese. E’ opinione unanime che la più bella foto di Palio mai scattata sia datata luglio 1977: vinse il Montone con il cavallo scosso Quebel (cavallo scosso vuol dire senza fantino, che era caduto) e un fotografo immortalò l’attimo in cui un contradaiolo, piangendo di felicità, lo bacia appassionatamente sul muso mentre lui, mansueto e con uno sguardo dolcissimo, si prende tutte le effusioni con piacere e gratitudine. In quello scatto ha eternato l’anima del Palio, l’amore sviscerato per il vero protagonista della Festa, quello che non tradisce e sulla cui lealtà puoi mettere la mano sul fuoco.
Il secondo aneddoto è degli anni Ottanta. Nell’agosto 1981 vinse il Nicchio con un cavallino meraviglioso di nome Balente (questa volta con il fantino in groppa). L’anno dopo, nell’agosto 1982, andò in sorte a un’altra Contrada, il Leocorno, che ovviamente era favorita. Partì la corsa e l’accoppiata si ritrovò seconda dietro a un’altra Contrada favorita, che poi arrivò prima. Per tentare il sorpasso, il fantino del Leocorno prese una curva impostando una traiettoria troppo stretta e cadde. Alla fine, nessuno riuscì a fermare Balente, che uscì da piazza del Campo da solo e si avventurò per strade che, evidentemente, conosceva bene. Si fermò solo davanti alla stalla del Nicchio, che non correva. Capirete, i bambini impazzirono a quella vista e lui (notare bene, era pur sempre un animale libero, senza alcun controllo: poteva scalciare, imbizzarrirsi, fare danni a cose e persone) si fece accarezzare, baciare, coccolare come se fosse un agnellino. Arrivarono di corsa gli uomini del Leocorno per recuperarlo e quelli del Nicchio glielo riconsegnarono, non prima però di aver disegnato un enorme cuore blu (il colore nicchiaiolo) nel punto in cui si era fermato. Evidentemente non si era sentito maltrattato e l’anno prima si era trovato così bene che era tornato a casa.
Potrei anche parlare di Panezio, cavallo chiamato il ragioniere perché sapeva contare con la zampa, oppure di Brandano, che sapeva quando si avvicinavano i giorni del Palio e cominciava a scalpitare nella sua stalla per la voglia di andare a correre in piazza. Sarebbe utile, sarebbe inutile, non lo so. Diciamo che rispetto l’opinione di tutti e capisco che, da profani, il Palio possa sembrare un’inutile barbarie. Non nego che la pista abbia visto anche la morte di alcuni soggetti (gli stessi Quebel e Brandano hanno chiuso tragicamente sul tufo le loro strepitose carriere), ma se il destino di un cavallo è quello di correre, non esiste posto migliore di Siena per farlo. Non è una corsa fine a se stessa, è la rappresentazione della vita, un salto indietro nel tempo, un luogo che per due volte all’anno, per 4 giorni, esce dal tempo, si trasforma in un universo lontano anni luce da qualsiasi galassia, dove si ripete un rito allo stesso tempo amato e odiato (a seconda dell’esito), ma atteso con la febbre alta nei restanti 10 mesi, quando le Contrade sono centro di aggregazione, discussione e, per quanto possibile, lontananza per i giovani da problemi attuali come la solitudine, la droga e via dicendo. Nelle fredde sere d’inverno sapere dove andare invece di isolarsi non è una fortuna da poco!!!! Chi si lancia in giudizi guardando solo la corsa non è obiettivo, spesso suo malgrado, e dovrebbe ritagliarsi una settimana di ferie a Siena: per sentire la magia prima dell’assegnazione dei cavalli, per respirare la follia dopo la vittoria.