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chiamatemi serendipity

La parola Serendipità deriva da Serendip, l’antico nome persiano per Sri Lanka.

Il termine fu coniato dallo scrittore Horace Walpole il 28 gennaio 1754 che lo usò in una lettera scritta a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze.

Serendipità è un neologismo poco usato nella lingua italiana, proveniente dall’assai più diffuso corrispondente inglese serendipity.

Horace Walpole fu ispirato dalla lettura della fiaba persiana “Tre principi di Serendippo” di Cristoforo Armeno nel cui racconto i tre protagonisti trovano sul loro cammino una serie di indizi, che li salvano in più di un’occasione.

La storia descrive le scoperte dei tre principi come intuizioni dovute sì al caso, ma anche allo spirito acuto e alla loro capacità di osservazione.

Serendipità è dunque – filosoficamente – lo scoprire una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un’altra.

Ma il termine non indica solo fortuna: per cogliere l’indizio che porterà alla scoperta occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore di esperienze che non corrispondono alle originarie aspettative.

Oltre ad essere spesso indicata come elemento essenziale nell’avanzamento della ricerca scientifica (spesso scoperte importanti avvengono mentre si stava ricercando altro), la serendipità può essere vista anche come atteggiamento, e – come tale – viene praticata consapevolmente più spesso di quanto non si creda.

Ad esempio tutte le volte che si smette di arrovellarsi nel ricordare un nome, nella speranza che l’informazione emerga da sé dalla memoria, in realtà ci si sta affidando alla serendipità.

Una famosa frase per descrivere la serendipità è del ricercatore biomedico americano Julius H.Comroe:

«la serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino».

chiamatemi serendipityultima modifica: 2009-01-28T14:54:00+01:00da
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